sabato 8 aprile 2017

IN VIAGGIO CON JACQUELINE (film) di Mohamed Hamidi, Francia/Marocco 2016

Il fenomeno che per brevità uso chiamare "americanizzazione" della nostra cultura, anzi della nostra civiltà, ha fatto un'altra vittima: la commedia brillante francese. Per americanizzazione intendo la perdita di complessità, di varietà e di sottigliezza (elementi tipici della vecchia civiltà europea, ma anche asiatica), a vantaggio di schemi ripetitivi, cliché, pasti precotti, anzi predigeriti, "déjà vu" narrativi, proposti e riproposti alla prova di contesti diversi. Nel caso di In viaggio con Jacqueline, il cliché tipicamente americano è quello della prova finale, infallibilmente vittoriosa a dispetto delle difficoltà. Il percorso deve partire da una situazione disagiata (qui anche geograficamente, ma soprattutto di contesto umano e sociale): il nostro dev'essere un "antieroe" sbeffeggiato e miscreduto da tutti, ma con un'idea forte in testa. Ha un'occasione. L'eroe raccoglie la sfida, si cimenta in una prova (in questo caso parte per un viaggio assurdo, con una mucca al seguito) tra l'ilarità generale. Durante l'azione deve avere momenti di scoraggiamento, ma incontrerà la solidarietà di qualcuno che crede in lui. "Puoi farcela!" "No, non ce la farò mai... ho fallito" "Dai, sei il migliore!". Solitamente la prova finale può avvenire per un soffio, dopo che l'eroe ha accumulato un ritardo e quasi perso l'appuntamento. Ma un secondo prima che i giochi siano fatti, eccolo in gioco. La prova viene superata brillantemente, fra gli applausi degli astanti. E' apoteosi. Da lontano gli ex increduli lo vedono con somma sorpresa apparire in tv, e questa è la vera consacrazione, perché nulla è più mitopoieutico di una comparsata in televisione. In questo film la tv è affiancata dai social networks, segno del progresso ma proprio nulla di nuovo in termini di originalità narrativa. Tanto per dare un riferimento e confermare l'invasività dei modelli americani, ricordiamoci un altro film francese dall'identica dinamica: La Famiglia Bélier, di Eric Lartigau (vedere la stroncatura nel 2015). Lì la difficoltà iniziale è data da un handicap: la sordità dei genitori dell'eroina. Fra lo scetticismo generale, anzi proprio con l'opposizione preconcetta della famiglia, l'eroina si iscrive a un concorso canoro. Trova un supporter che la motiva, si impegna, ma cade in depressione. Il supporter la risolleva: "puoi farcela!", eccetera. Anche in questo caso il concorso si svolge a Parigi, lontano. Partenza quasi fuori tempo massimo, difficoltà, arrivo alla sede del concorso all'ultimo tuffo, grande prova, applauso (anche degli scettici genitori, ora estasiati e lagrimosi) e happy ending. Qual è la differenza con In viaggio con Jacqueline? Nessuna, o se volete la differenza sarebbe la mucca Jacqueline, peraltro neppure troppo sfruttata come presenza scenica. Il resto è tutto, ma proprio tutto uguale. E di film con questo schema ne potremmo citare a bizzeffe, ovviamente soprattutto oltre Oceano. Qui da noi abbiamo appena iniziato, ma temo che ci dovremo abituare. A proposito, potrei citare altri e migliori film on the road. Ne citerò solo uno che mi è caro, e pensa un po' è americano! Ma di un regista che era talentuoso, prima di convertirsi alle mega-produzioni: Stephen Spielberg, e il film era Sugarland Express. Cerchiamolo, riguardiamolo. Com'era più fresco, gustoso, originale di questo...

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