Per scrivere dell’ultimo film di Nanni Moretti devo accantonare la personale antipatia per il Nanni, che rischia di intorbidare il mio giudizio sull’opera.
Ci provo, e mi concentro sugli elementi obiettivi.
Quella di Moretti non è recitazione, è una lettura del
copione parola per parola, lentamente, come da parte di uno che ci vede poco.
Se lo fa apposta, ce ne dica almeno i motivi…
E quelle di Moretti da altri film non sono citazioni ma copie
belle e buone. Non sempre da film di primo piano. Ad esempio, la figlia che
sgomenta i genitori con un fidanzato più vecchio di loro non è nuova, ma il
precedente non era proprio granché: era in La
bellezza dell’asino, mediocrissimo film di e con Castellitto qui stroncato
qualche anno fa. C’era bisogno di citarlo? Il ricorso a personaggi autorevoli a
supporto delle proprie idee, contro quelle dei vicini, richiama il Woody Allen in
attesa di entrare al cinema in Io e Annie.
Rifare una gag non è omaggiare, è copiare! Margherita Bui, poi, copia sempre se
stessa, nel senso che recita sempre la solita parte di donna schizzata, in cura
dallo psicologo. E giocare al Fellini è facilissimo: basta un circo un
po’ surreale, una bella banda, e il gioco è presto fatto.
La politica: Ma pensa, non ci ricordavamo che l’invasione
dell’Ungheria avesse suscitato proteste tanto spontanee nella base popolare del PCI. Ci
sembrava che la reazione, che pure un po’ ci fu, fosse appannaggio di qualche
deputato, di qualche onesto intellettuale (il "Manifesto dei 101", mai pubblicato da L'Unità). Ma poi il finale del film,
soltanto un sogno falso come tutti i sogni, in cui il PCI condanna
ufficialmente l’invasione, non sarà preso per vero dai ragazzi di oggi, ignari di
come invece andò quella storia?
E ancora sul finale: il Moretti che alza le braccia e danza
in una sequenza liberatoria e consolatoria, non è inverosimile? E’ vero o no
che quel finale è appiccicato con lo scotch? E che l’evasione irrazionale auspicata dal Moretti risulta inapplicabile a lui almeno quanto l’esito felice della
questione politica lo era per il PCI?
Non parliamo poi dell’incontro con gli inviati di Netflix!
Come avrà potuto Netflix permettere l’uso del proprio nome, in quel contesto?
Perché gli inviati sono meno che burattini, e quella loro formuletta la
ripetono con tanta esagerata insistenza da togliere alla scena qualsiasi vis
comica.
Ma non è l’unica esagerata insistenza su un particolare. Un’altra
si riscontra nella scena del Moretti che blocca le riprese di un omicidio, nel
film finanziato dalla moglie. Comincia bene, ma poi si dilunga, non la fa più
finita, come se il Moretti temesse di non farsi capire. Certo, l’opinione che
il Moretti ha del pubblico è assai modesta, si sa; ma quando si vuol spiegare
tutto, anzi troppo, la comicità va a farsi benedire!
Insomma il pubblico è ignorante. Va pazientemente istruito, e Lui lo sa: bisogna
spiegarsi bene, parlare pian pianino, copiare scene già viste, evitare metafore
troppo complicate, fornire versioni edulcorate della storia; e poi condire
tutto con felliniana melassa, magari un po’ rivisitata (ah quel giro per Roma,
non più nella emblematica Vespa morettiana, ma in monopattino... pure il Moretti si aggiorna!).
Anche no, come si dice oggi.