lunedì 24 marzo 2014

LEI, film di Spike Jonze (USA 2013)

Dove collocare una melensa storia d'amore, in modo da nascondere la penuria di idee che vi sta dietro? Dev'esserselo chiesto lo sceneggiatore e regista di Lei (Her), Spike Jonze. E la risposta è stata: nel futuro. Un futuro non remoto ma prossimo venturo, fatto di città appena più grattacielose delle nostre, di dispositivi elettronici solo un po' più portatili, di videogiochi tridimensionali anziché piatti. Per il resto, tutto come oggi, o poco di diverso.
Solo una cosa cambia, ed è la capacità delle creature virtuali (qui con traduzione presumibilmente errata chiamate "sistemi operativi"), una volta create, di evolversi e arricchirsi  in modo praticamente autonomo, dotandosi via via di cultura smisurata, capacità di utilizzarla, emozioni, o almeno capacità di emozionare, ed infine sentimenti, o almeno capacità di suscitare sentimenti.
Dimenticavo, hanno anche capacità di godere sessualmente, o almeno di dare godimento sessuale, peraltro in una modalità tutto sommato (se non si considerano le musiche celestiali e le immagini sfumate) ancora assai simile al buon vecchio onanismo.
Coinvolgimento vero, quello della bella virtual-girl, o soltanto abilità e furbizia? Che bravo il regista, che non ce lo dice.
La critica e il pubblico, a cominciare dalle giurie dei premi cinematografici (oscar 2014 alla sceneggiatura, e non solo!), traboccano di elogi su dolcezza, delicatezza, amorevolezza della storia. Ma cos'è, in definitiva, questa superpremiata storia? Una stucchevole parata di buoni sentimenti, volemose bene, e di ànsimi di orgasmi degni di un soft-porn. Con la sola differenza che origine e destinataria del tutto è una specie di robot, e non una donna in carne ed ossa. Ma che bella trovata, per rivogarci la solita love story fritta e rifritta.
Peraltro, nel primo Love Story (1970) si predicava che "amare significa non dover mai dire mi spiace", lo ricordate? Sono passati 45 anni, e qui invece ogni due per tre ci sono scuse, pardon, imbarazzi, rossori...
E per descrivere l'allegria di coppia, che cosa fa il nostro bravo regista? Ti filma i due innamoratini (stavolta veri entrambi, in quanto è un flashback sulla love story precedente) che si fanno le boccacce, o giocano agli scontri con in testa due birilli stradali. Il tutto condito con  le solite musiche già prima definite celestiali. E per tre ore non si vede altro. Oddio, che voglia di andarsene...
Certo, leggevo in una critica che c'è però il finale a sorpresa. Ma quale sorpresa? In tutto il film ci sono tre donne: una è la ex, ormai bruciata; la seconda è una non-donna, e finire il film con un rapporto da hot-line poteva parere poco politically correct; e la terza era vera, in polpe ed ossa e pure carina. Vabbè, era sposata, ma che ci vuole a un regista imaginifico come questo per levarle dai piedi un marito scomodo? Basterà inventarsi due pretesti, lui che non cambia assieme a lei, o qualcosa di altrettanto originale. Ed ecco dunque la terza ed ultima ragazza, bella e che pronta per il tenero finale. Sai che sorpresone.
Ah, non ho ancora detto che anche la bella virtual-girl, a un certo punto, andava levata di mezzo, altrimenti la strada al lieto fine non era spalancata. E allora, per motivi ancora in via di accertamento, lei assieme a tutti i "sistemi operativi" sparisce: si suicidano tutti, colti da senso di colpa, oppure vengono annichiliti da qualcuno che si era accorto del loro eccessivo allargarsi? Non è dato saperlo. Del resto, una realtà solo virtuale cominciava a diventare un'insostenibile leggerezza anche per loro, povere simil-creature. Non sarà dispiaciuto troppo, neppure a loro, sparire nel nulla.
Venghino, gente, venghino, ce n'è per tutti i sentimenti, garantisce l'Oscar! Voi andate avanti, che io me la rido da solo.

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