sabato 7 dicembre 2013

LA TRAVIATA, di F.M. Piave, musica di G. Verdi, regia di Dmitri Tcherniakov, Direttore Daniele Gatti, Milano, 07.12.2013

Dov'è la festa? E' in casa Valéry. Pare che sia molto tardi ma di notte a Parigi, verso il 1970, la gente vuole ancora divertirsi. C'è chi ha la cravatta, chi il dolcevita. C'è un capellone, qualcuno invece è rasato a zero. Violetta (Diana Damrau) dal suo canto ha un camicione buono per tutte le stagioni, tipo vestaglia. Alfredo Germont (Piotr Beczala) indossa un completino da ufficio, con sotto un gileino di lana. Avesse a rinfrescare...
L'arredo è da "piccole cose di pessimo gusto": trumeau anni '60 (del Novecento, s'intende), poltroncine, ambiente piccolo-borghese. E nel secondo atto, addirittura una cucina dove il povero Alfredo, mentre si dispera, affetta zucchine. Forse non piange per Violetta, ma ha solo tagliato una cipolla!
I cantanti del coro si sgolano per dare l'impressione di una festosa allegria. Nulla traspare di quel velo di malinconia, quasi presagio del finale, che viceversa chi volesse potrebbe avvertire nella musica di Verdi sin negli accordi più eccitati. Ma pazienza, bisogna modernizzarsi. Ed ecco infatti anche Violetta agghindata sempre peggio, con gusto sempre più da buccia di banana, fino ad esibire una parrucca a riccioloni biondi che la fa assomigliare a un travestito in libera uscita. Poveretta! Sarà mica un caso se a un certo punto, mentre si consuma il dramma, lei la parrucca se la leva?
D'accordo, bisogna modernizzarsi; ma allora siamo moderni davvero! Caro scenografo/regista, dagli anni Settanta son passati quarant'anni... Oppure il regista/scenografo voleva farci capire che già alla sua epoca la Traviata era un po' rétro? Che sia tanto raffinata, l'operazione? A me non è sembrato.
Violetta, Alfredo, Giorgio Germont, e tutti gli altri, si sbracciano, cantano a bocca spalancata, si smanacciano teatralmente. D'accordo, un po' di movimento fa anche bene a un'opera splendida musicalmente ma a tratti un po' melensa. Però, se i gesti degli attori, i loro spostamenti sulla scena non corrispondono alle battute del copione, allora tutto rischia il ridicolo. Ad esempio Alfredo è presente sin dall'inizio alla festa dove reincontrerà Violetta, ma a un certo punto tutti lo salutano. Ma perché Piave, quel mediocre, si ostina a farlo arrivare più tardi? Peccato, il copione non si può cambiare, altrimenti avrebbero modernizzato anche quello. E magari una spuntatina anche alla musica, perché no?
Al netto di tutto quanto, di una messinscena forse anche da budget limitato, di una direzione così così (i brani polifonici soprattutto erano molto confusionari), di un Beczala di nessun rilievo, rimane la bravura di Diana Damrau, che non sarà una diva ma ha voce e tecnica da vendere.
Alla fine molti applausi per lei e per uno Željko Lučić ottimo Giorgio Germont, ma clamorose contestazioni per tutti gli altri. Contestazioni che i soliti giornalisti pompieri hanno annacquato oltre ogni limite di verosimiglianza. Chissà perché?

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