mercoledì 10 agosto 2011

La fine è il mio inizio (film) di Jo Baier, Germania/Italia 2011

Immaginate di leggere un romanzo che descriva un tizio intento a raccontare la sua vita, ma che non vi faccia sapere che cosa il protagonista sta raccontando. Che ne descriva le espressioni, la faccia, la corporatura, i malanni, le manie, tutto ciò che gli gira attorno, ma senza mai rivelare quel che sta dicendo. Ebbene, La fine è il mio inizio è un po' così. Dall'inizio alla fine (pardon per il gioco di parole) vediamo solo un vecchio e malato Tiziano Terzani, il grande giornalista toscano, interpretato da Bruno Ganz, già condannato dal tumore, che racconta al figlio la propria vita; ma mai un flashback, mai un'immagine dei tanti viaggi in tutto il mondo, no: soltanto il vecchio nel suo buen retiro in cima alle montagne del Pistoiese, il figlio e la moglie.
Al principio ci si aspetta molto: le immagini sono tutto sommato intriganti e chissà che cosa dovrà capitare: in fondo, è la vita di un uomo fra i più avventurosi del nostro secolo, uno che ha passato anni fra Cina e Tibet, uno che le vicende storiche non le ha apprese dai telegiornali ma le ha vissute in prima persona, uno che ha sentito il botto delle bombe e l'odore acre dell'esplosivo, uno che ha parlato a tu per tu con i potenti del mondo.
E invece i minuti passano e il povero Terzani è sempre e solo inquadrato impietosamente nella sua poltroncina di invalido, lungo i quattro passi che lo separano da una specie di pergolina dove parla a un registratore maneggiato dal figlio. Parla, e il racconto già molto slavato è condito di sentenze improbabili, massime d'accatto, commenti da bar sport sul comunismo, sulla natura umana, sui rapporti fra i popoli, sulla guerra e chi più ne ha più ne metta. Ma che bel servizio a Tiziano Terzani! Perché se anche, forse, non sarà stato un politico raffinato né un filosofo né un sociologo (non erano mestieri suoi!), tuttavia è stato un ottimo giornalista, scrittore, narratore; e più ancora è stato un uomo d'azione, uno che si trovava nei posti giusti al momento giusto. Certo, qualche battuta poco felice sulla crisi delle ideologie l'avrà anche fatta distrattamente, come ognuno di noi canticchia facendosi la barba; ma non per questo saremmo disposti a farci macinare nel tritacarne dello spettacolo con le nostre performances! Lui invece lo triturano ben bene, senza ritegno alcuno; e invece di mostrarcelo nel vivo dei fatti, come è stato tutta la vita, ce lo rappresentano vecchio, stanco, malato, invalido, immobile, debole di pensiero..... E infine padre egocentrico e prevaricatore, che solo in articulo mortis cerca di dare un ruolo a un figlio che per vivere una vita decente ha dovuto fuggire dalle sue bravate (compresa quella di farlo studiare in una scuola di Stato cinese, tanto per fare, lui, il diverso!).
Quanto siamo affezionati all'arguzia, all'intelligenza e alla sensibilità istintiva di Terzani, tanto siamo portati a ridere di un film incapace di afferrarne e riprodurne la grandezza. Un film che aspira alla poesia e ambisce a commuovere, ma rimane invischiato in un'aria di tentativo fallito. Più ancora, volendo essere un po' dietrologi, è come se al figlio di Terzani (collaboratore alla regia) fosse scappata un'involontaria postuma vendetta per le angherie subite in gioventù, nella scia di tutti i figli di cotanti padri.

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