sabato 18 giugno 2011

Le donne del sesto piano (film) di Philippe Leguay, Francia 2011

Ecco un'altra commedia francese, e quando i francesi ci si mettono, con le commedie, solo raramente sbagliano. E poi, è come se la francesità in quanto tale (pardon per il neologismo) aggiungesse gusto ai film, li rendesse più accattivanti. E così Le donne del sesto piano è piaciuto a molti, anche fra amici che spesso condividono le mie stroncature...
Questa volta, però, secondo me diverse cose non tornano.
Caro regista, avresti dovuto fare delle scelte: se il tono è grottesco, la vicenda sentimentale c'entra come il cavolo a merenda; se invece la tua è una storia d'amore, che senso ha pigiare continuamente sul pedale di una certa comicità caricaturale?
Mi si dice che la materia è divisa in due: il grottesco riguarda i sepolcri imbiancati dell'alta borghesia parigina anni sessanta, mentre l'amore riguarda le anime semplici; e che il motore della storia nasce dal contrasto, nell'imprevedibile incontro di una persona semplice (che per il regista equivale per défault ad anima semplice) con un borghese, sì, ma dall'anima a sua volta sorprendentemente semplice.
Anche se, a dire il vero, la semplicità del nostro (un bravo Fabrice Luchini) si esprime in gesti e atteggiamenti anch'essi assai grotteschi, come la mania dell'uovo alla coque.
La semplicità di lei, emigrante spagnola in una Parigi anni '60, ne ha fatto in passato la vittima di un padrone scellerato, che l'ha resa madre anzitempo e fuori luogo. Ma si rispecchia e si nutre nella semplicità e bontà naturale di tutte le colleghe, salvo che le altre sono una più brutta dell'altra mentre lei (Sandrine Kiberlain) è davvero bellissima. Ma una menzione a parte merita la zia, interpretata da una Carmen Maura (Almodovar ecc. ecc.) che non esiterei a dichiarare ancora bella, nonostante l'età.
Dunque, mi si dice, satira feroce contro una classe sociale usurpatrice, ma commossa partecipazione verso le derelitte dal cuore grande così. Eppure non è così, e non lo è perché il quadretto delle domestiche spagnole è totalmente stereotipo e l'unica lettura che può reggere, anche per questa parte, è quella caricaturale, magari non corrosiva ma pur sempre "dall'alto". Come potremmo giudicare i ritratti di genere, le leziosità, i cuoricini infranti, gli aneliti da agiografia, se non col metro del comico?
Ecco però che spunta la storia d'amore: nasce e ti chiede di esser presa sul serio, di imporsi come autentica e non certo comica. Ma allora? con che occhi guardare? Con quelli scafati del dissacratore o con quelli commossi del tenerone? Il regista non ce lo dice e il film rimane un po' a mezzo, sospeso in questo spiacevole dilemma.
Per di più, che storia d'amore è mai questa, quale può essere la credibilità di una vicenda dove lui, già verso i sessanta con pancetta incorporata e barba grigia, insidia lei poco più che ragazzina? E' più il senso di fastidio, vorrei dire quasi di indignazione, che la commozione; e il presunto sentimento, pur emerso in un'anima semplice, appunto, non ci toglie il sospetto che si tratti di una delle solite infatuazioni del padrone in vena di onnipotenza per la domestica vittima. E gli ingredienti per sospettarlo ci sono tutti, compresa una sessione voyeuristica con lei ignara nella doccia. Per cui il lieto fine appare come un qualcosa di posticcio, quasi una concessione a un pubblico più ampio, quello che prende sul serio i romanzi d'appendice, e finisce per non convincere né gli uni né gli altri, o almeno finisce per non appagare me, vostro incontentabile interprete.

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