domenica 21 novembre 2010

Devil (film), di Drew e John EricK Dowdle, USA 2010

Le circostanze e il luogo in cui si assiste ad uno spettacolo non dovrebbero influenzare il giudizio critico sull'opera; tuttavia non posso tacere l'impressione prodotta su di me dal "multisala" di estrema periferia in cui Devil era programmato nella mia città. Un non-luogo di tale squallore da far stringere il cuore; una sala grande, dallo schermo gigante, ma così cupa da allarmare prima ancora dell'inizio del film horror; un odore di pop-corn talmente intenso da risultare disgustoso anche a un appassionato; ragazzotti tutti uguali e vestiti uguali (jeans e piumino), tutti palesemente depressi al di là degli atteggiamenti forzatamente allegri... Può darsi dunque che un po' dell'impressione negativa sul film sia dovuta all'ambiente circostante e non propriamente alla pellicola.
La quale è stata realizzata con un budget modesto, e dunque presenta un cast non di primissimo piano, ma non manca di pregi. A cominciare dalle prime inquadrature di una metropoli americana vista da sotto in su. Inquadrature bellissime.
La storia è intrigante: 5 persone si trovano bloccate nell'ascensore di un grattacielo. Sono persone molto diverse fra loro, ma più avanti si scoprirà che sono accomunate da un particolare non da poco: sono infatti tutte, a vario titolo, macchiate dal peccato. E fra di loro si annida nientemeno che il diavolo. Il problema è che non si sa chi dei cinque lo sia: non lo sappiamo noi spettatori ma soprattutto non lo sanno loro, che infatti, via via che il contrattempo diventa un dramma, iniziano a sospettarsi a vicenda, a minacciarsi, a combattersi, e infine a morire, uno dopo l'altro. Già, perché il diavolo è venuto a prendersi le sue vittime: prima ci gioca come il gatto col topo, e infine le fa sue senza scampo.
L'orrore corre sul cavo dell'ascensore, alligna come un sesto personaggio nella cabina bloccata. La morte si annuncia con il tremolare delle luci, col buio entro il quale il diavolo ha agio di colpire indisturbato. A nulla valgono gli sforzi umani, i cellulari accesi a tentare di contrastare l'abisso del buio: tutto inutile, tutto vano.
All'esterno, un poliziotto dalla vita tragicamente colpita dalla sorte tenta di intervenire, di dirigere i poveri malcapitati tramite una telecamera e un microfono, ma la fatalità diabolica finirà per farlo ritrovare a tu per tu con la tragedia che lo ha segnato in passato.
I mezzi utilizzati per far salire la tensione non sono proprio eccezionali né originali: spesso sanno di espediente e non fanno sobbalzare più di tanto. Il phil rouge che tiene insieme la storia è il racconto che la mamma faceva ad una delle guardie giurate del grattacielo, un ispanico molto superstizioso, quando era bambino: dalla voce atterrita di questi, e dai suoi ricordi, comprendiamo, nell'incredulità degli altri personaggi, che siamo in presenza del diavolo, e ci giungono premonizioni su quanto sta per accadere nell'ascensore: un filo assai tenue, perfino ridicolo.
Eppure non riesco a demolire tutto. In particolare, il finale costituisce una sorpresa: certo anche per il ribaltamento della situazione, che fa scoprire il diavolo dove meno te lo aspetteresti e costituisce il coup de theatre tipico di un thriller. Ma soprattutto perché esibisce dei valori positivi, capaci di risparmiare la vita all'ultimo dei personaggi, di negare la soddisfazione finale al diavolo e di ristabilire sulla terra degli uomini un certo equilibrio di bontà. Sono valori come il pentimento, il perdono e perfino la confessione. Non sappiamo se gli autori siano o meno di fede cattolica, ma nel film si afferma in modo inequivoco il valore della dichiarazione-confessione del male commesso come forma di espiazione e lavacro. E funziona, salvando dalla dannazione! Nulla di più lontano dal mondo luterano/protestante.
Di più non si può pretendere da un horror destinato a una platea di ragazzotti, accorsi al cinema con veri e propri barili di pop-corn, incapaci di inorridire davanti allo squallore del luogo dove la nostra barbarie li costringe a bivaccare, bisognosi, per provare emozioni, di stimoli forti ma appena appena elementari.

Nessun commento:

Posta un commento