mercoledì 14 aprile 2010

LA PRIMA COSA BELLA, di Paolo Virzì (2010)

Devo ammettere: è un film carino, tutto sommato. Ma non è certo il capolavoro che la maggior parte degli spettatori proclama all'uscita del cinema. E volete sapere perché? Un capolavoro va rivisto a qualche anno di distanza. Provate ora a pensare questo film fra cinque, ma che dico, fra due anni: nessuno se lo filerà più, perché è un prodotto che sta su con lo scotch, un evento dal respiro cortissimo.
C'è la solita vecchia che la sa lunga (una Stefania Sandrelli quasi meglio del solito - ma la scena di lei sul letto di morte è quanto di meno credibile si possa immaginare: la sua faccia esprime l'agonia non meglio di come farebbe un ceppo di legno davanti all'ascia). La storia d'altra parte è strappalacrime: la vecchia è appunto malata terminale e il figliuol prodigo torna all'ovile in tempo per riconciliarsi prima che lei tiri il calzino. Si piange (se si è facili alla lacrimuccia) e si ride anche di gusto, più di una volta; e questo è un punto a favore di Virzì, che non ha fatto un film monocorde. Ma ci sono anche scene in cui il regista dimostra una pochezza culturale disarmante, come quella in cui la Sandrelli si trova in una festa di gran signori. E come sono questi gran signori? Ma guarda, parlano con la evve moscia, siedono su dei triclini che manco gli antichi romani... Come flash sociologico è troppo, troppo banale; e pensare che Feria d'Agosto ci aveva stupiti proprio per questo aspetto, oltre che per una comicità più frizzante ed originale.
Ma tant'è: Virzì, col suo nuovo filmino piccolo piccolo, si conferma regista davvero provinciale, e non si venga a nascondere dietro la foglia di fico del "provincialismo per scelta". Ma ve lo immaginate questo film, per dire, al festival di Cannes? Eppure, quanti film francesi con lo stesso budget riescono a uscire dal confine della loro remota provincia e a interessare un pubblico internazionale.
Non è questo il destino di "La prima cosa bella": un film di rilievo locale, fragile, di carta velina, il cui imminente oblio stupirà solo chi oggi, ma è una folla, inneggia al capolavoro.

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