domenica 10 aprile 2011

C'E' CHI DICE NO (film) di G.B. Avellino, Italia 2011

Inizierò con un accorato appello ai registi italiani: quando ambientate un film a Firenze, per favore prendete attori con l'accento fiorentino. Perché nei film romani si parla romanesco e in quelli fiorentini un'assurda storpiatura? Prendete ad esempio il titolo del film. Invariabilmente l'imitatore lo pronuncerà più o meno "sc'è hi disce no", pensando - sulla scia della famosa "hoha hola halda hon la hannuccia horta" - che tutte le c vengano aspirate. Ma non è così, non è così. Eppure, a Firenze gli attori non mancano mica, da Benigni in giù. Ne abbiamo perdonate tante, noi fiorentini: ci fu il Geppetto televisivo di Nino Manfredi, per dire, o il Tognazzi di Amici Miei, e glie le perdonammo perché erano dei grandi attori. Nel caso della Cortellesi, non vedo proprio perché dovremmo.
Ma vengo al film. Tre vecchi compagni di scuola si rincontrano. Uno è un giornalista precario, lei è un medico ospedaliero e il terzo un contrattista universitario. Tutti e tre dovevano "passare di ruolo" e invece sono stati scartati a favore dei soliti figli o nipoti di papà. Vittime di ingiustizie professionali, della parentopoli e del malcostume, decidono di ribellarsi e lo fanno usando le armi che i registi di second'ordine ormai appiccicano per défault ai toscani, appunto da Amici Miei in poi: lo sberleffo, lo scherzo al telefono, il pan per focaccia. Il clima è ancora quello delle "zingarate", ma più incerto e meno riuscito. La caratterizzazione dei personaggi non si scosta di un nanomillimetro dai banali cliché della satira all'italiana. Sembra di assistere alle commediole in vernacolo che andavano nei teatrini di quartiere di Firenze tanti anni fa, con il nobilastvo che pavla con la evve, e così via.
Non manca la straniera che, disgustata dall'italietta, si ribella ai metodi da mafia della sua nuova famiglia; però, però... il marito brutto, ricco e raccomandato se l'era sposato. Possibile che non si fosse accorta di nulla e che ci sian voluti gli scherzi dei nostri per farle aprire gli occhi?
Albertazzi fa la parte del rettore universitario corrottissimo, anzi il capo dei maneggioni, ma almeno intelligente. Dopo di lui il diluvio, gentuccia che neppure sa intrallazzare per bene, mezze figure che lasciano tracce imbarazzanti e non sanno stare al mondo. Certo, in confronto agli altri attori Albertazzi è un gigante, ma vien da chiedersi perché abbia accettato una parte, sia pure poco più di un cammèo, in un film così marginale.
Peggio che marginale, direi irritante. E la mia solidarietà va ai tanti veri discriminati, a quelli che non ce l'hanno fatta, i quali se andranno a vedere questo film scopriranno che la colpa è stata loro, perché "non hanno detto no". Tutto sommato il sistema che li ha schiacciati non era poi questo gran mostro. Bastava una telefonatina, una bombetta puzzolente ben piazzata: il barone sarebbe schiattato, e il posto liberato.
Ahimè non è così, naturalmente. Il sistema è antico quanto l'Italia, o forse quanto la civiltà. Anzi, oggi si è ancor più raffinato, consolidato; e non saranno certo le bravate di tre ragazzotti a metterlo in crisi. Del resto, al regista sembrano interessare assai poco gli aspetti di denuncia del suo film. Quel che gli interessa è la gag, lo scherzo, la faccia del professore davanti alla buca da piscina scavata sulla porta di casa sua, e via dicendo. Più che ad Amici Miei, in vari momenti sembra attingere alla comicità televisiva di Scherzi a parte. E non è un caso: dalla biografia del regista, ecco i suoi precedenti lavori: Casa Vianello, Crociera Vianello, Quelli che il Calcio, Pressing e, buon ultimo, il film di Ficarra e Picone. Potevamo attenderci altro?

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