“Basato su una storia vera”, ci avvisano puntuali, ma stavolta quasi a giustificarsi, gli autori. E di scuse dovrebbero chiederne tante, visto il pasticcio. Che forse è già nella storia vera, ma nel film trova nuovi motivi di sghignazzo.
Una donna non più giovane (Heather Locklear), nessuna dote
propria, ma moglie di un uomo di successo e madre di due ragazze adolescenti,
si trova spiazzata per la morte improvvisa del marito. Questi era un uomo
affascinante ma integerrimo, marito esemplare (salvo qualche dubbio riguardante
la segretaria…), scrittore prolifico, inventore di un blog cliccatissimo che
aiutava il prossimo ad affrontare le “piccole cose” della vita prima che
diventino pesanti. E aiutava anche la famiglia, visto che l’editore lo
remunerava a peso d’oro, consentendo a lui, moglie e figlie una vita a dir poco
agiata.
La morte improvvisa fornisce agli autori il destro per
sciorinare senza pietà, fra ambientazioni banalissime e dialoghi inascoltabili, tutta una serie di luoghi comuni e tic cinematografici,
abbondantemente conditi di politically
corret: una delle figlie gioca a calcio, come si conviene a una ragazza
moderna (vedi pubblicità televisive, dove ormai tutte le ragazze giocano a
calcio e tutti i maschi lavano i panni). L’altra figlia è preda di astratti
adolescenziali furori e litiga ad ogni piè sospinto con la madre. La mamma non
sa che pesci pigliare, e si rifugia nel consolante rapporto col fantasma del
marito. Lui prima di morire, non si sa per quale preveggenza, ha disseminato la
casa di lettere alla futura vedova, e da fantasma se la tiene bene stretta;
salvo poi sollecitare la donna a “lasciarlo andare”: passaggio, pare, obbligato
per risolvere i problemi familiari ed anche quelli imprenditoriali.
L’editore infatti propone alla vedova di assumere il comando dell’iniziativa al posto del marito morto,
coprendola di denaro. Lei esita, dubita di essere in grado, ma come in ogni
film americano che si rispetti il coraggio prevale. “Posso farcela” è il motto
liberatorio di qualsiasi film di sfida,
che al pessimismo brutto e cattivo degli antagonisti contrappone la filosofia
delle difficoltà da vedersi come “opportunità”: la stessa filosofia di comodo dei
people managers nelle multinazionali.
E ovviamente nei film, a differenza di quanto avviene nelle multinazionali, le
sfide personali vengono sempre vinte! C’è da fare il passaggio televisivo in un
talk show, consacrazione raccomandabile
anche in era di social media, ma la sera prima la voce le si spegne. Tutto
sembra crollare, ma poi la voce le torna grazie a un disgustoso intruglio
surrogato-di-caffè, opportuna esemplificazione della filosofia del blog, volta
a risolvere con poco le piccole cose.
Finisce che lei capisce le lezioni e diventa durissima con
tutti, soprattutto con l’ingombrante e sospetta segretaria (che peraltro poi si
converte anche lei al generale volémose
bene e al servizio della vedova, qualunque cosa fosse successa col morto). La
vedova si impone anche con le figlie ribelli, con le quali poi ha occasione di
collaborare in una emergenza climatica (toh, ci mancava!), altra crisi da
trasformare in occasione di riscatto. E tutto converge verso l’implacabile
palata di melassa, quando la figlia rimasta incinta di un ragazzotto finora mai
visto e molto temuto, ma in realtà buono e bravo (mai che si travalichi il
confine del socialmente accettabile…), partorisce un grazioso frugoletto da
coccolare.
Se questa è la “storia vera”, che Dio ci scampi. Di sicuro i
libri della collana, che dovrebbero ammansire piccoli ma preziosi suggerimenti,
io non li voglio leggere.