lunedì 27 maggio 2013

La grande bellezza (film) di Paolo Sorrentino, Italia/Francia 2013

Siamo a Roma, capitale universale del cristianesimo e dell'immoralità, culla di monumenti eterni e immondo giaciglio di ogni sorta di abuso, edilizio come sessuale. In questa schizofrenica modernità, dove vuote crisalidi e biechi papponi, intellettuali disincantati e assatanati arrivisti si dibattono come falene alla luce artificiale, è ambientato il film di Sorrentino.
Lunghissime sequenze di discoteca sfrenata introducono il tema, che solo alla fine, e in chiara malafede, il protagonista Toni Servillo dichiara essere quello della ricerca della bellezza. Ma quale ricerca, se la bellezza è ovunque, e i personaggi neppure la vedono? Non la vede lui, impegnato in rapporti rassegnati o falsi, e comunque fallimentari; non il cardinale, che Dio neppure sa chi sia, preso com'è dalle ricette di cucina; non Carlo Verdone, scrittore fallito, non i tanti "signor nessuno" che affollano il film all'inverosimile. Forse la vede quel tizio enigmatico che ha le chiavi dei "palazzi delle principesse" (così si esprime)  e porta i nostri in un'esplorazione notturna? Forse la nana direttrice di rivista, speculare caricatura della Meryl Streep nel Diavolo veste Prada? Forse la decrepita simil-Madre Teresa che si trascina sulla Scala Santa? Non sembra.
Certo che Sorrentino ha soldi da spendere, e li spende tutti. Comparse a iosa, giraffe, stormi di uccelli esotici che affollano (creati al computer) la terrazza affacciata sul Colosseo... Ma anche "partecipazioni straordinarie" o semplici camei di attrici (ex) famose, da Gabriella Ferrari a Pamela Villoresi, da Serena Grandi a Fanny Ardant... quest'ultima in una comparsata di pochi secondi, mentre scende una scala, che uno si domanda chi glie lo abbia fatto fare. Ma lo stesso potrebbe dirsi di altri: che ci fa, nel film, Sabrina Ferilli? Sostituita nel fisico certamente da una controfigura, di suo c'è soltanto un volto tumefatto dal chirurgo plastico, immobile come una statua. A un certo punto si apprende che sta molto male; da quel momento se ne perde ogni traccia, senza quasi spiegazione. E allora? E Servillo stesso, che ci fa? Con quell'aria sempre un po' stranita non è nella parte, parte che chiamerebbe se mai il Tognazzi de La grande abbuffata.
Sorrentino esibisce, moltiplica, allunga il brodo... Quante scene avrebbero potuto durare di meno! E cerca di rinsanguare il filone della Roma felliniana, quella delle Ekberg, delle fontane, dei nottambuli ancora svegli all'alba tra fogli di giornale svolazzanti. Ma Fellini era un'altra cosa: meno affastellamenti, più ispirazione.
E infine, di che parla questo film? Un montaggio presuntuoso, dialoghi cool eccetera, a che cosa rimandano? Non certo a idee nuove; e difatti, le feste sono quelle che la gente semplice si aspetta dalle feste romane; la Chiesa è solo caricaturale e corrotta come la gente vuole; i ricchi sono immorali, brutti e cattivi, la vita è crudele. Insomma nulla, ma proprio nulla, che non sia un luogo comune.
Certo, c'era da conquistare un posto a Cannes, c'era da accaparrarsi i distributori stranieri, e non si poteva guardar tanto per il sottile. Niente da dire, meglio questo che un ennesimo film da due lire girato con la webcam e quattro attori da strapazzo. Meglio questo che un ennesimo film impegnato sul tema del disagio giovanile degli immigrati gay, che agli immigrati gay rende un servizio contrario e non richiesto... Ma da qui a dire che il film di Sorrentino è un bel film.... beh, ce ne passa parecchio.